Alessandro Chalambalakis

Nietzsche ne «la comunità della perdita»


Certo Bataille va ancora oltre; egli riconosce nella riflessione sul riso tragico, sul riso nel fallimento, il nocciolo della dottrina di Nietzsche, e ne ricava il principio che nei successivi anni gli renderà possibile la fondazione di un nuovo concetto di sovranità. Questo concetto è rimasto incomprensibile quando non lo si è ricondotto alle sue origini, che affondano nell’operazione segreta di Acéphale.

Rita Bischof, Riso tragico - La nozione di sovranità rivista da Acéphale, convegno su L’etica impossibile di Georges Bataille, Napoli, Giugno 2007.

Il principale intento di questo scritto consiste nell’esaminare un’importante tappa dell’interpretazione che Bataille ha compiuto del pensiero di Nietzsche: l’interpretazione presente nella rivista Acéphale (fondata dallo stesso Bataille nel 1936 e conclusasi nel 1939). Ovviamente tale tappa non si avvicina minimamente a risolvere l’intero itinerario ermeneutico dello scrittore francese nei confronti del filosofo tedesco ma risulta essere un tassello di estrema importanza sia per la centralità dell’argomento in sé che per il ruolo che lo studio di tale argomento ha avuto nella crescita delle riflessioni che in questa rivista amiamo condurre.
La critica che Bataille fece dell’interpretazione politica del pensiero nietzscheano è inscritta in una più ampia contestazione di qualsiasi interpretazione teleologico-politica e teologico-politica di Nietzsche. Privilegerò qui questo più ampio contesto di critica (e non la critica specifica della forzata e strumentale interpretazione nazionalsocialistica di Nietzsche ad opera di Rosenberg e Baeumler) in quanto, data la sua generalità, offre una visuale a mio parere più chiara dei concetti e della simbologia espressi in Acéphale. Prima di evidenziare il nesso Acéphale-Nietzsche è però necessario fare luce sulla linea filosofica riguardante Acéphale in senso stretto.

Copertina di Acéphale n. 1, 1936.
Disegno di André Masson.

Dio padre, l’unità, l’orizzonte di senso, il telos sono da Bataille accostati al pensiero politico dei re, dei dittatori e delle «società monocefale»[1] in genere. Società che Bataille definisce chiuse, dogmatiche e ben sistemate in un definito e definitivo orizzonte di senso dato dal fine ultimo, dallo scopo. Ogni momento della vita, in tali società, è subordinato alla motivazione, alla finalità; ogni momento è mezzo per un fine, sia tale fine sensibile o sovrasensibile. Attraverso un’esplicita analogia che accosta il capo, in senso gerarchico, alla testa e alla ragione, Bataille accomuna qualsiasi forma di teologia politica e di teleologia politica al carattere monocefalo dell’esistenza in cui l’uomo non fa altro che tentare di conferire un senso e una forma all’universo, serrandone le profondità e portando così ad una «vita senza attrattive»[2]. A tale chiusura, a tale organizzazione e a tale autorità egli contrappone la società acefala, eterogenea, ambigua e ambivalente. Tale dualità si configura, nella teoria batailleana, come antitesi e negazione dell’unità, come nulla di questo Uno. La società acefala è la società bicefala, la società delle opposizioni insanabili e del movimento, il nulla della società monocefala. Il duale si presenta come negazione dell’Uno, come zero rispetto all’Uno. Dio, l’unità, il capo e la testa vengono sacrificati per lasciare posto ad una vita aperta, ignota, libera da qualsiasi determinazione di senso. Difatti egli scrive:

«La sola società piena di vita e di forza, la sola società libera è la società bi o policefala che dà agli antagonismi fondamentali della vita uno sbocco esplosivo costante ma limitato alle forme più ricche […]. La dualità o la molteplicità delle teste tende a realizzare in uno stesso movimento il carattere acefalo dell’esistenza, perché il principio stesso della testa è riduzione all’unità, riduzione del mondo a Dio»[3].

La società monocefala, guidata dal capo, dalla testa, riduce quindi ogni pluralità e ogni diversità all’unità dei principi che lo stesso capo e la stessa testa elaborano. Liberare la vita dal capo, significa per Bataille, liberare la vita da Dio, dai fini, dall’utilità, dall’asservimento e da qualsiasi forma di finalismo antropocentrico:

«Essere libero significa non essere funzione. Lasciarsi rinchiudere in una funzione, significa castrare la vita. La testa, autorità cosciente o Dio, rappresenta quella tra le funzioni servili che si dà e si considera essa stessa come un fine, quindi quella che deve essere l’oggetto dell’avversione più viva»[4].

Bataille vuole evidenziare l’indisponibilità della vita a rendere ragione dell’universo. Se la vita accetta di essere la ragione del cosmo accetta di esserne la necessità e quindi accetta di esserne asservita. Ma, in contrapposizione a tale asservimento, esiste un’altra strada che è quella della libertà, da Bataille percorsa nell’elaborazione di un pensiero che non si oppone alla possibilità del non-senso e dell’assurdità dell’universo. Assurdità che viene anzi restituita alla dimensione del gioco e dell’estasi. Dimensione in cui, a costo di sprofondare nella tragedia, non si rinuncia all’ebbrezza di una vita priva di determinazioni. Ma come, in tutto questo, rientra l’interpretazione di Nietzsche? Bataille mitologizza tutte le forme del pensiero teleologico e teologico ribaltandole in quella moderna mitopoiesi costituita dall’acefalo; questo ribaltamento è la risposta all’uomo delle finalità, al vecchio uomo. L’intellettuale francese, nelle Proposizioni sulla morte di Dio, afferma:

«L’acéphale esprime mitologicamente la sovranità votata alla distruzione, la morte di Dio, e in ciò l’identificazione con l’uomo senza testa si compone e si confonde con l’identificazione col superumano che è per intero «morte di Dio»[5].

André Masson, disegno tratto da Acéphale n. 2, 1937.

L’acéphale e l’Übermensch sono da Bataille assimilati l’uno all’altro poiché entrambi garanti del superamento dell’umanità auto-conservativa, la quale avrebbe in Dio il proprio principio di conservazione infinita, in vista di una vita libera, titanica e che ha l’arditezza dell’amor fati: una vita che sa amare se stessa anche nei suoi aspetti più scabrosi, insensati, tragici. Difficile utilizzare politicamente un pensiero che si pone esplicitamente contro il regno dei fini: è proprio ad un presente che guarda al passato per progettare e definire politicamente e teologicamente il futuro che il martello di Nietzsche si rivolge ed è proprio questo, della filosofia di Nietzsche, che, secondo Bataille, apre al presente e al futuro nel senso della chance e non del progetto. Il futuro aperto, possibile, sconosciuto è il futuro esplicitato, secondo Bataille, dall’aforisma 377 Noi senza patria de La gaia scienza e dal capitolo Del paese dell’istruzione nella seconda parte dello Zarathustra, testi nei quali è evidente, afferma lo scrittore francese, una concezione festosa della «meravigliosa incognita del futuro»[6] e uno sguardo sul «mondo coperto di passato, coperto di patrie come un uomo è coperto di piaghe»[7]. Il senza patria, figlio dell’avvenire, l’inattuale, è avverso a tutti gli ideali, a tutte le patrie ed è, quindi, avversario di qualsiasi nazionalismo e di qualsiasi asservimento al passato; è colui che afferma: «Nei miei figli voglio riparare di essere il figlio dei miei padri: e nel futuro – questo presente»[8]. La critica del finalismo investe, in Nietzsche, sia la morale passatista che quella progressista ed è precisamente questa sfida titanica a configurare il suo pensiero come essenzialmente tragico. In questo senso, è il futuro nella prospettiva della chance, del rischio e non del progetto utile e razionale, a definire quindi la sua posizione filosofica:

«Verso questo dedalo che solo racchiude le possibilità numerose della vita, non verso le miserie dell’immediato, si dirige il pensiero contraddittorio di Nietzsche, seguendo l’impulso di una ombrosa libertà»[9].

Riferendosi inoltre alla non asservibile trasvalutazione nietzscheana dei valori Bataille afferma:

«Che i valori rovesciati non possano essere ridotti al valore di utilità, è un principio d’importanza vitale così bruciante da suscitare con esso tutto ciò che la vita comporta di volontà tempestosa da vincere. Al di fuori di questa precisa risoluzione, questo insegnamento dà luogo soltanto alle incoerenze o ai tradimenti di coloro che pretendono di tenerne conto. L’asservimento tende a inglobare l’intera esistenza umana ed è il destino di questa esistenza libera che è in causa»[10].

Questa esistenza è libera, secondo lo scrittore francese, non nella misura in cui è progetto utile, politico, non nella misura in cui è mezzo per un fine ma nella misura in cui è labirinto, intersecarsi di infinite possibilità in cui la linearità è spezzata in vista di una vertigine sovrana. L’intellettuale francese sottolinea quindi l’anti-dottrinalità della filosofia di Nietzsche; aspetto fondamentale in quanto anche il contrario, il contraddittorio e il non razionale sono da Nietzsche stesso messi in gioco al fine di tentare l’abbraccio e la valorizzazione di tutto l’essere. Di conseguenza, un’interpretazione mirante alla sistematizzazione di tale pensiero (come per esempio fu il tentativo di Baeumler) non farebbe altro che distruggerlo, abolendo quegli elementi contraddittori, ambiziosi della totalità che tale pensiero tempestoso fondano. L’accostamento batailleano tra superumano e carattere acefalo dell’esistenza consente quindi a Bataille non solo di porsi sulla strada della decapitazione del soggetto politico bensì anche del suo fondamento filosofico: il soggetto metafisico. Esposito, riferendosi all’orientamento nietzscheano di Bataille, si esprime così:

«Ma nella rivendicazione del carattere impolitico di quel pensiero non c’è solo una riserva negativa contro ogni traduzione politica di una filosofia volutamente inattuale. C’è anche l’implicito richiamo alla destrutturazione nietzscheana del soggetto metafisico. A questo allude la metafora dell’«acefalità», della caduta del capo»[11].

L’Übermensch e l’acéphale quindi sono chiamati in causa come liberatori dall’asservimento metafisico, politico e teleologico, come liberatori figli di questa terra in quanto ne proseguono il movimento sovrano di rivolta al cielo. La rivolta batailleana suona così:

«Dio, i re e la loro sequela si sono frapposti fra gli uomini e la Terra – allo stesso modo in cui il padre dinnanzi al figlio è un ostacolo allo stupro e al possesso della Madre»[12].

Dio, i padri, i re misconoscono, secondo questa sorta di prospettiva psicoanalitica ribaltata, il nietzscheano «senso della terra»[13] che, secondo Bataille, risiede in una rivolta contro Dio, contro l’Uno, contro l’eterno, salvifico e celeste regno dei fini che vorrebbe impedire il godimento terrestre. L’acéphale è quindi volto ad estendere il senso di questa rivolta proveniente dalle profondità della mater-materia. Il nietzscheano senso della terra e la morte di Dio sono, da Bataille, messi sulla stessa linea di una rivolta erotica al regno del calcolo, delle patrie, dei grandi fini e dei grandi ideali. L’acéphale, uomo superato, vuole essere ebbro della terra e dei suoi frutti esperendo l’unica vera sacralità: la definitiva morte di Dio - «Dio è morto! Dio resta morto!»[14] -, l’inesistenza di orizzonti determinati, la vertigine, l’«eterno precipitare»[15]:

«La ricerca di Dio, dell’assenza di movimento, della tranquillità, è la paura che ha fatto fallire ogni tentativo di comunità universale»[16].

Ancora:

«L’esistenza universale, eternamente incompiuta, acefala, un mondo simile ad una ferita che sanguina, che crea e che distrugge senza fine gli esseri particolari finiti: è in questo senso che l’universalità vera è morte di Dio»[17].

André Masson, disegno tratto da Acéphale n. 2, 1937.

Ecco cosa vorrebbe essere Acèphale: una comunità tragica dell'uccisione di Dio, della distruzione dei principi primi e del loro strumento, ovvero il capo, la testa. Essa vuole una sacralità dissacrante e una politica impolitica. Essa è una «comunità della perdita»[18], come la definisce Roberto Esposito, una comunità che esaspera i contrasti a tal punto da ricondurre il politico all’impolitico mediante una mitologizzazione che oppone al senso gerarchico, monocefalo, monoteistico, una sacralità che è negazione dell’Uno, azzeramento dell’unità in vista della dualità, della pluralità e delle opposizioni insanabili. La glorificazione della terra va di pari passo con l’esaltazione dell’eterogeneo, del plurale e del particolare non assimilabile al generale e quindi di tutti quegli aspetti della vita non riconducibili a principi primi, immutabili.

Il carattere acefalo e rivoltoso dell’esistenza viene espresso nella rivista anche grazie ai disegni di André Masson raffiguranti un uomo privo di testa, tratto da una iscrizione gnostico-manichea trovata da Bataille, rappresentante un dio acefalo di probabile origine egizia. Ma al di là dell’origine di tale divinità, ciò che conta è il modo in cui Bataille e i suoi collaboratori se ne servono, ciò che conta è la «semantica sacrificale»[19] a cui tale rappresentazione è ricondotta. Il sacrificio che è sempre anche un auto-sacrificio va riferito a tutto ciò che è monocefalo, a tutto ciò che è unità e totalità nel senso dell’olon, del tutto strutturato e ordinato, a tutto ciò che domina sotto il segno dei padri, delle patrie e del Dio celeste. L’acéphale esprime così la volontà ribelle delle divinità della terra e dell’informe. Il demoniaco, caratteristico di tali divinità telluriche, riconduce al dionisiaco, all’erotismo e all’estasi tragica, ad una totalità nel senso di un inconciliabile scontro tra forze, ad una totalità nel senso del pan, del tutto disordinato, orgiastico e vertiginoso.

Il fulcro dello sguardo batailleano sembra essere quello di una vera e propria guerra tra due diverse concezioni della vita e del sacro: la prima, monocefala, concepisce l’universo come una totalità ordinata secondo i principi primi, semplici e immutabili a cui la stessa forzata volgarizzazione politica di Nietzsche ad opera di Baeumler è riconducibile; la seconda, acefala/policefala vede l’universo come teatro di una danza panica, terreno di gioco tra forze in cui l’uomo, nel piacere e nel dolore, vuole essere ebbro ed estasiato. In questo senso quindi il riferimento al pensiero di Nietzsche è fondamentale. Il tragico, mediante la figura di Dioniso, in entrambi i pensatori, si presenta come una smentita della civiltà, come un'evidenziazione della natura illusoria dei valori della civiltà stessa. Il satiro del corteo dionisiaco, sia in Nietzsche che in Bataille, è colui «dinanzi al quale ogni civiltà si svela come menzogna, in quanto si edifica sull’occultamento del dolore»[20]. La pratica della liberazione da questo occultamento civile e politico del dolore spetta quindi alla pluralità delle teste che si incontrano e che si scontrano. Pluralità che, come si è detto, è conseguenza diretta dell’annullamento acefalo dell’Uno. Tale liberazione vive del dramma erotico rappresentato dal dionisiaco, spetta infatti a Dioniso questa trasgressione sacra. Afferma al riguardo Jean-Michel Rey:

«Dyonisos libera infatti la vita dalla servitù – e questo, come è noto, è uno dei temi dominanti de La Nascita della Tragedia, e forse anche uno dei punti chiave di tutta la problematica di Nietzsche -, cioè della punizione del passato; egli la affranca sia dall’autorità religiosa che da ogni forma di romanticismo. In tal senso, Nietzsche esige da coloro che detengono i valori della tragedia che divengano dominatori: una specie di imperativo che, allo stesso tempo, lascia l’avvenire sgombro da qualsiasi impregnazione da parte del presente, una esigenza radicale che trascina, che è cioè all’origine di nuovi valori, che prescrive senza asservire, che indica una direzione senza implicare in ciò una qualsiasi utilità»[21].

È in questa direzione che ha proceduto infatti la ricerca batailleana di una «comunità della perdita», della negazione, della sottrazione della vita al principium individuationis delle esistenze monocefale, di una comunità che ha voluto l’esuberanza della tragedia e che, tramite un’importantissima lettura di Nietzsche[22], ha espresso tutta la potenza e l’irriducibilità di un pensiero che ha saputo contrastare qualsiasi tipo di asservimento teologico, politico e finalistico senza necessariamente schierarsi dalla parte di un cieco utilitarismo di segno razionalistico.

NOTE
[1] G. Bataille, Propositions, in Acéphale n° 2, in id., Œuvres complètes, t. I, Paris, Gallimard, 1970; trad. it. di Fabrizio Di Stefano, Proposizioni, in G. Bataille, La congiura sacra, Bollati Boringhieri, Torino, 1997, p. 35.
[2] G. Bataille, La congiura sacra, op. cit., p. 5.
[3] Ivi, p. 36.
[4] Ivi, p. 38.
[5] Ibidem.
[6] Ivi, p. 27.
[7] Ivi, p. 28.
[8] F. Nietzsche, Del paese dell’istruzione in Così parlò Zarathustra, G. Colli e M. Montanari, a cura di, Adelphi, Piccola Biblioteca, Milano, 1976, p. 138.
[9] G. Bataille, La congiura sacra, op. cit., p. 29.
[10] Ivi, p. 29.
[11] R. Esposito, Termini della politica, in AA.VV., Oltre la politica: antologia del pensiero impolitico, Roberto Esposito, a cura di, Milano, Mondadori, 1996, p. 24.
[12] G. Bataille, La congiura sacra, op. cit., p. 39.
[13] F. Nietzsche, Prologo di Zarathustra, in Così parlò Zarathustra, op. cit., p. 6.
[14] F. Nietzsche, L’uomo folle, in La gaia scienza (aforisma 125), G. Colli e M. Montanari, a cura di, Adelphi, Piccola Biblioteca, Milano, 1977, p. 163.
[15] Ibidem.
[16] G. Bataille, La congiura sacra, op. cit., p. 40.
[17] Ivi, p. 40.
[18] R. Esposito, La comunità della perdita, in G. Bataille, La congiura sacra, op. cit., p. XI.
[19] Ivi, p. XVII.
[20] C. Gentili, Nietzsche, il Mulino, Bologna, 2001, p. 68.
[21] J.-M. Rey, Bataille e Nietzsche, in AA.VV., Georges Bataille: Il politico e il sacro, Liguori, Napoli, 1987, p. 37-38.
[22] Ivi, p. XXV.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
AA.VV., Georges Bataille: il politico e il sacro, Napoli, Liguori, 1987.
AA.VV., Il collegio di sociologia (1937-1939), Denis Hollier, a cura di, Torino, Bollati Boringhieri, 1991.
Bataille, Georges, La congiura sacra, Torino, Bollati Boringhieri, 1997.
Bataille, Georges, Œuvres complètes, t. I, Paris, Gallimard, 1970.
Esposito, Roberto, Categorie dell’impolitico, il Mulino, Bologna 1988.
Esposito, Roberto, Termini della politica, in AA.VV., Oltre la politica: antologia del pensiero impolitico, Roberto Esposito, a cura di, Milano, Mondadori, 1996.
Gentili, Carlo, Nietzsche, Bologna, il Mulino, 2001.
Nietzsche, Friedrich, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Piccola Biblioteca, Milano, 1976.
Nietzsche, Friedrich, La gaia scienza, Adelphi, Piccola Biblioteca, Milano, 1976.

Vedi anche: Alessandro Chalambalakis, Nietzsche e il suo doppio, in L'Arengo del Viaggiatore n.5, 1/11/2006.

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